La stanza dei respiri

E dopo che un’altra giornata è scappata via veloce. Sei tornata in piscina; hai letto un’articolo testimonianza di una collega il cui padre è morto in nove mesi di tumore da amianto o asbestosi e non lo sapevi, e sei rimasta a bocca aperta e senza parole e non le hai detto niente; hai fatto il tuo dovere di cronista facendo le pulci all’assessore di turno; hai mangiato i cioccolatini al mandarino tardivo e finocchietto selvatico che il tuo amore ti ha lasciato per san valentino sul tavolo di cucina; hai cenato, davanti al pc, spulciando quello stupido sito dell’inps, scoprendo che ogni tua mossa – dall’assunzione della colf alle richieste di maternità – è registrata per sempre da un cervellone informatico (e già lo sapevi, ma vederlo è diverso); hai bevuto un paio di bicchieri di rosso 2010 del lago di Caldaro, in Trentino; hai ripensato a tuo nonno, che è morto solo 8 mesi fa e già paiono 8 anni fa, e ti fa rabbia che una vita si svapori in un nulla così eterno e ineluttabile come la morte.
Dopo tutti questi gesti e pensieri, che sono solo la più piccola parte dei gesti e dei pensieri della giornata, entri nella loro cameretta, dove dormono da prima che arrivassi a casa, e ascolti i due respiri. Ti siedi sul letto del grande, gli accarezzi il capino, lui dorme, sussulta, si risveglia appena e ti chiede Coscine di Pollo…Tu accenni la ninna nanna e ti viene voglia di chiudere gli occhi e sdraiarti lì, ancora vestita, accoccolarti a quel serafino e abbandonarti all’innocenza del sonno di un bambino.
Poi senti dei movimenti nell’altro lettino, e la guardi che muove le braccine e il capino mentre dorme, come un grande, si assesta, cerca la posizione, già vive la sua piccola vita in autonomia. E allora pensi che quei due serafini sono tuoi, certo, li hai messi al mondo tu. Ma non sono più tuoi dal momento in cui hanno emesso il primo gridolino, il primo pianto, e ti commuovi a pensare alle loro piccole vite che avanzano giorno per giorno. Con te che sei l’esempio, il nido, il rifugio della loro innocenza, ma presto sarai il trampolino di lancio per i loro voli nella vita. Come l’uccellino Cipì che impara a volare.
Sogni d’oro bambini. Tanto ci vediamo stanotte per l’acqua, il ciuccio, il lettone, il latte, il biberon, la pipì…..

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Teatro o cartoni?

Dopo la religione che tanto sdegno scatenò, torniamo a qualche argomento più lieve. Mi chiede una collega: tuo figlio guarda i film? Dico, no. Per ora solo i cartoni animati. Ha visto il Re leone, gli Aristogatti, Pinocchio, Cattivissimo me. Poi in questa fase è un fan di Diego, su Sky. Soprattutto perché lo guarda mentre aspetta me o il papà in arrivo dal lavoro, tra le 20 e le 21…A. ha cominciato dopo l’anno a vedere la tv. Io non sono né integralista del no tv, ma nemmeno troppo liberale. Quando sta con me, al massimo gli faccio vedere mezz’ora- 45 minuti. Eccezionalmente, se c’è la sorellona grande, o il sabato e la domenica con noi grandi, guardiamo anche un cartone della Disney intero (che dura anche un’ora e mezza). Non è che stia inchiodato lì senza mai muoversi, anzi. Ma più cresce e più l’effetto ipnosi della tv si fa sentire. Finché era piccolo (tra un anno e mezzo e due) sopportava al massimo 10 minuti, di cose semplici tipo Teletubbies o quei cartoni della baby tv della De Agostini. Poi è diventato fan dei Barbapapà. Non vedeva che quello, solo quello, sopratutto dai due anni in avanti e fino a pochi mesi fa. ALtri cartoni lo annoiavano, oppure spaventavano. E’ poco che gli propongo i cartoni lunghi della Disney, perché vedo che è più attratto, meno spaventato e sopratutto più curioso.
Ma questa lunga descrizione per fare una sola domanda: quando avete portato per la prima volta al cinema i vostri bimbi? A che età?
Io ho paura che si spaventi per il buio. La prima volta che siamo andati a teatro a vedere le marionette (Pinocchio al teatro della 14esima, Milano), qualche giorno dopo Natale, a intimorirlo di più di tutta la situazione è stato proprio il buio. Infatti ha passato tutta la prima parte dello spettacolo, in braccio, col ciuccio e a chiedermi ogni dieci minuti “Mamma, andiamo a casa”. E io, “ma no, dai, aspettiamo la fine, è bello”. In effetti gli è piaciuto e la seconda volta, con Alice nel Paese delle meraviglie, non ha più avuto paura. Anche se è comunque rimasto sulle mie ginocchia tutto il tempo e un paio di momenti di cedimento “mamma, andiamo dalla nonna..”, li ha avuti anche con Alice!

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Niente inglese, ma tanta religione

Scopro, e non nascondo sbigottimento, che alla scuola materna, quella dai 3 ai 5 anni, è previsto l’insegnamento della religione cattolica. “Sì, signora – mi rassicurano le maestre – ma è un insegnamento blando. Disegnano la storia di Gesù, fanno il presepe, parlano dell’amore…”. A 3, 4,5 anni parlano dell’amore? Nel senso cristiano del termine, come amore di Dio? O come amore della mamma? E perché un bambino di 3, 4, 5 anni dovrebbe parlare di amore con un insegnante di religione? Da quando i bambini di 3, 4 , 5 anni fanno i dibattiti?
Premessa d’obbligo: l’insegnamento della religione cattolica non è obbligatorio. E’ prevista la cosiddetta ora alternativa (e a me scappa da ridere, perché mi ricordo cosa voleva dire l’ora alternativa alle medie e al liceo, quando i miei genitori mi hanno esentato dalla religione). Certo, erano altri anni. Era il 1989 (uhh, caduta del muro!), quando io cominciavo la scuola media. E allora eravamo in due, io e un tale Francesco che non ho più rivisto, a non fare religione. Ci chiudevano in una stanzetta a leggere il giornale…ma chi si ricorda. Poi al liceo, sciallo! Niente religione e nell’ora buca, grande cazzeggio (moolto educativo). La svolta a 18 anni, quando ci consentivano persino di uscire da scuola. Meraviglia. A quel punto, a fare religione in classe mia erano rimasti in 5. Noi, dell’ora alternativa, andavamo al bar a fare colazione.
Ecco, il problema è che ora sono diventata mamma. I miei bambini sono battezzati. Ma io rimango dell’idea che l’educazione religiosa non c’entri nulla con la scuola pubblica e laica. E poi, bambini così piccoli, non avranno tanto altro da imparare (musica, inglese, disegno, canto, teatro, pittura, scultura, e ancora gioco libero, e nanna e pappa) prima? Non sarebbe più corretto che una questione così personale e privata come la fede venisse gestita dalla famiglia stessa? In Italia, certo, non mancano le chiese e se un genitore desidera instradare il figlio sulla strada della religione non farà alcuna fatica.
Invece a Milano, la grande capitale del Nord, mi informano le maestre durante gli open day degli asili, si taglia l’inglese (che non ci sono più fondi) ma per religione c’è persino una stanzetta attrezzata all’interno dell’asilo.
Non è obbligatoria, dirà qualcuno, perché ti lamenti? Giusta obiezione. Se vi dicessi, però, che di tutti gli iscritti solo una piccolissima minoranza non partecipa? Come glielo spieghi a un bambino di tre anni che vede tutti gli amichetti divertirsi a costruire il presepe che lui non può farlo? Perché mamma e papà non vogliono?
Oddio, io credo che lo farò. Senza spiegarglielo, che non si può pretendere da un bimbo di 3 anni di capire questi argomenti. Poi c’è solo da sperare che le insegnanti di ruolo della scuola siano abbastanza intelligenti e sensibili da occupare i bambini che non aderiscono a religione senza creare “differenze” o altro.

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W i radicali, abbasso i partiti

Oggi abbiamo dato spazio alla battaglia dei radicali contro i partiti che non vogliono pagare le multe per i manifesti abusivi. Che significa? Che durante la campagna elettorale per il sindaco di Milano (e non solo ovviamente, succede ad ogni tornata elettorale in ogni città, regione provincia) i partiti e i candidati hanno appicciato le loro belle facce dappertutto, fregandosene di regole e spazi regolari..tanto per cambiare. Ora, a Milano, dovrebbero 6milioni e mezzo di euro al comune. E naturalmente non ne vogliono sapere di pagare. Sperano nel condono, che per ora è saltato. Oppure nei ricorsi amministrativi in prefettura o al tar.
Insomma, anche oggi abbiamo fatto il nostro dovere
E siamo contenti

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Vi sveliamo un segreto

Il plurale maiestatis dà un certo senso di onnipotenza. Ecco, noi siamo in piena crisi di onnipotenza. Finché dura, è fantastico. Mamma, anzi bismamma, lavoro (sì, siamo tornate), ancora niente palestra o piscina ma ci stiamo arrivando, trasloco fatto, arredamento quasi completato, look sobrio ma curato. Meglio di così! E pure il lavoro nuovo, non è male.
Siamo tornate, più arrabbiate. Più cazzute. Come la leonessa della savana. Sì, perché al primo giro, al primo figlio il mondo ti crolla addosso. Non dormi, sei stanca, sempre, pensi solo a lui o lei, il tuo pensiero è tutto intorno a lui o lei, e ogni minuto tolto a lui o lei ti pare un furto di amore.
Poi arriva la seconda, o il secondo. E la vita diventa un gioiso inferno. Gioioso perché i bambini danno gioia…hihihi. Sembra la predica del parroco la domenica. Inferno perché a casa non vivi più. Quando uno dorme l’altro è sveglio. Quando uno mangia, anche l’altro vuole mangiare!! Quando tu vorresti fare una doccia o andare in bagno per scrivere una lettera al Papa (così diceva mio nonno, che era uomo di fede), almeno uno dei due o tutti e due te lo impediranno. E tu imparerai a lavarti di notte o al mattino prestissimo, e a fare la cacca con uno dei bambini in braccio mentre l’altro dorme. E’ sì, succede anche questo. TU NON ESISTI PIU’.
Allora il lavoro, miracolosamente e gioiosamente, diventa un’oasi nel deserto. L’ancora di salvezza. Il luogo di pace e di riposo. Il posto più discreto e tranquillo che tu abbia mai sognato. Nessuno lo immagina, intorno a te. Pochi hanno figli. Molti sono solo al primo giro. Moltissimi sono uomini, e dunque anche con 3 figli non faranno mai i tour de force che fai tu, mamma. Perché allattare o no, la mamma è sempre la mamma. E quando torna a casa dal lavoro è lei, la mamma, che si prende le botte e le parolacce del grande di casa (2 anni e mezzo o poco più) , arrabbiatissimo perché improvvisamente è sparita dalla sua vita. Ma lei resiste, perché sa che è solo per troppo amore che viene maltrattata. E soprattutto sogna il suo computer, la sua scrivania, il suo piccolo lavoro quotidiano che la lascia essere solo lei.

Ps
E’ un segreto, non ditelo troppo in giro, che se lo scoprono può darsi che si inventino una legge per far restare le donne a casa dal secondo figlio in poi…

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Amore vero

Lui è partito per i mondiali di Rugby. Nuova Zelanda. Stamattina alle 8 mi chiama da Dubai: qui è fichissimo, pensa che ho incontrato una mamma francese con la figlia di 15 anni in trasferta per vedere i galletti (così li chiamano i franzosi nel mondo ovale del rugby). Uaw! E io: Alberto ha fatto la pipì da solo nel gabinetto! Si è messo in piedi sullo sgabellino e via…A ognuno le sue soddisfazioni. Certo due settimane senza di lui saranno durissime…a parte la goduria di non dover più fare tre lavatrici al giorno. Che cambia più magliette e pantaloni lui dei piccoletti…
Ma la solitudine porta anche qualche momento speciale.
Stamattina Greta ha dormito quasi tre ore. Intanto io ho fatto un tuffo nel passato riguardando le foto dell’addio al nubilato a Londra di una mia cara amica…era il 2008. Niente bimbi né pance all’orizzonte.
Poi, dopo la poppata di mezzogiorno, siamo uscite per una bella passeggiata. Destinazione: gelateria la Perla. Uno storico locale di Pavia che pare uscito dagli anni 80, quando ancora si usava andare con i nonni la domenica a mangiare una coppa gelato seduti su sedie di metallo attorno a tavolini di formica. Gusti: malaga e fragola. Lei intanto, due dita in bocca a mo di ciuccio, due occhi spalancati come fari, mi guarda dal passeggino. Mi scruta e mi fissa, senza “dire” niente. Non fa versi, né pianti e per me è sempre una sorpresa piacevole, visto che con Alberto non potevo sedermi da nessuna parte perché dopo pochi minuti cominciava a protestare.
Ma fin qui mi sono dilungata. Perché l’amore vero è arrivato mezz’ora dopo, a casa. Un po accaldate siamo rientrate nell’appartamento che tra breve dovremo lasciare causa trasloco…ma ne riparlerò. La prendo in braccio, mi sdraio sul divano, e lei sopra di me, come un gattino. Il suo visino, la sua testa pelata, i suoi occhi a mandorla azzurrini, e la sua boccuccia sono a pochi centimetri dal mio naso. Puntando le mani sul mio petto, tiene diritta la testa, come un serpentello. E mi guarda. Fisso negli occhi. Innamorata. E poi all’improvviso apre la bocca, una smorfia che è per metà un sorriso per metà un anelito di fame. Amo questa piccola creatura in un modo che non so spiegare. E ho voglia di dirlo, che i secondi (per via della gelosia e delle mille attenzioni che bisogna giustamente riservare ai primogeniti) sono sempre un po trascurati.
Se non c’era lei, a quest’ora anche io ero sull’aereo per la Nuova Zelanda (così ci eravamo promessi un anno fa, prima di scoprire che ero incinta). Per fortuna a Auckland piove e ci sono 15 gradi…e poi io il rugby, sotto sotto, non lo capisco 🙂

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Santa pazienza..diceva la mamma

Ho parlato di regno dei cieli, l’ultima volta. Quello che le mamme meriterebbero d’ufficio anche solo per tutto quello che fanno. Bene o male. Bene e male.
Oggi parlerò di pazienza. Santa pazienza, come ironizzava mia mamma, pazientemente…E ora capisco bene perché a un certo punto della mia vita, verso i 15-20 anni, ho iniziato a sentire, senza capire, una frase… “La pazienza? Esaurita!” borbottava mia mamma. “Non ce n’è più. L’ho consumata tutta”. E io pensavo: è invecchiata, si capisce, ripete questa tiritera della pazienza ogni volta che è stanca. Chissà poi quanta pazienza avrà usato…non sarà un po’ esagerata?

Nooooooooooooooo. Non esagerava. La pazienza rende pazzi (e notate bene che l’etimo è lo stesso: patire. Ovvero soffrire). Io sono agli inizi della carriera mammesca, ma sono già impazzita per la pazienza e mi spazientisco più facilmente di quanto mi riprometto di fare.

A. ha due anni e mezzo. Vive la fase che nei Paesi anglosassoni chiamano i terrible twos! i terribili due..un delirio! Aggiungeteci la sorellina che gli ha scombussolato l’universo..e avrete una mistura micidiale per mandare qualunque madre al manicomio.

La pediatra dice: “mi raccomando signora. So che non è facile. Ma deve portare PAZIENZA. Anche quando le scappano le male parole i mala gesti, si trattenga. Non serve. Non aiuta. Lei deve incarnare la bontà in persona. Il piccolo sta vivendo una fase di regressione: la sorellina, sa, gli ha tolto le attenzioni che erano tutte sue. E lui, per vendicarsi, fa capricci, dispetti. L’unico modo di andare avanti è distrarlo. Inventare storie, preparare per tempo oggetti e giochi che lo distraggano. Basta un momento, e poi passa”.

Vero. Confermo che arrabbiarsi è inutile. L’unico risultato che si ottiene è che va in risonanza e aumenta ancora di più capricci, urla e pianti. Vero, vanno distratti. Vero, vanno coccolati. Vero, vanno curati e protetti come dei cuccioli che sono piccoli e indifesi. Vero, bisogna ignorarli se esagerano e portare pazienza. Pazienza. Pazienza. Pazienza. Tutto verissimo. Ma a me sono bastati due giorni di bontà per rincoglionirmi, passatemi la volgarità.

Perché lui, il piccolo demonio, si accorge che si è aperta una falla. E allora provoca ancora di più. Ti mette alla prova. Sperimenta fino a che punto può arrivare. E allora oggi, dalle 4 e mezza in avanti, dopo che sono andata al nido a prenderlo, ha messo in atto almeno 6 provocazioni pesanti. E alla prima, porti pazienza. Alla seconda, pure, e ti inventi una storia. Alla terza tiri fuor l’arma segreta, il gioco dei desideri di questo periodo: la matrioska. Alla quarta, però, inizi a dare segni di nervosismo e lo minacci: se non la pianti vai subito a letto e la mamma non gioca più con te. Errore gravissimo! Le minacce, forse, funzionano quando sono più grandi. Ma a due anni li fomentano e basta. A un certo punto le mani cominciano a pruderti violentemente e vorresti tanto dargli lo sculaccione che si merita. Ma resisti. “La bontà in persona, ti ripeti”. E per evitare danni lo metti a letto, dolcemente, gli canti persino la ninna nanna, coscine di pollo.

Sai già che domani mattina alle 7 comincerà a chiederti latte, foto, ciuccio, giochi, spazzolino, no il pannolino no, no i denti no, no le scarpe no, no no no no no no no. Pazienza, mamme. Santa pazienza.

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Io non esisto

Ieri sera sul divano mi è scappato un modo di dire emblematico: io non esisto. Da quando è nata G. le giornate sono ritmiche e senza fiato. Ho scoperto che il tempo è relativo e una giornata di 24 ore può durarne anche 48.l’importante è ridurre il sonno.
I risultati sono sorprendenti soprattutto per la linea…non ero più arrivata a 65 chili da anni!
Ma la dieta non è che un effetto del tran tran. I miei pensieri corrono all’impazzata e il futuro prossimo di mamma lavoratrice comincia a balenarmi agli occhi come una montagna impervia da scalare. Se persino Sarah Jessica Parker di Sex and the City, che ha un figlio di 8 anni e due gemelline da madre surrogata, dichiara a Vanity Fair che non riesce a conciliare il ruolo di mamma con quello di attrice, che dire per noi comuni mortali con portafogli e possibilità ben più ridotte??
Io, per ora, mi limito a ragionare sul caos che comporterà in me e intorno a me il mio rientro al lavoro. Perché è vero che prima della nascita dei bambini e nell’anno tra i due ho sempre lavorato, ma ora che sono a casa tutto è facile e scontato. La mamma c’è, la cena è sempre pronta (per bimbi e mariti), le rotture pratiche come andare in posta o dall’avvocato, chiamare l’idraulico se si rompe il lavandino o fare la spesa sono assolte. Ma dopo? Stando fuori di casa tutto il giorno chi si occuperà di tutto? E soprattutto, quanto tempo rimane per giocare, coccolare, educare i bambini?

E nonostante questi e mille altri dubbi, noi mamme lavoratrici non vediamo l’ora di tornare a lavorare. Che non ci si può mica ridurre a casalinghe solo per problemi di ordine pratico. Oltre al fatto che lavorare, molto spesso, è più divertente che stirare, pulire, rassettare e stare con due piccoli urlanti…Ma quanto vorremmo, a volte, essere uomini. Io ho sempre creduto, e lo credo ancora, che le donne siano esseri superiori. Tutto merito della biologia, cioè del fatto che possiamo dare alla luce dei figli e allattarli e tutto quanto. Un’esperienza di attesa, pazienza e profondità che mai un uomo potrà provare e che per questo lo rende leggermente inferiore. Non è un merito, delle donne, è così che ha voluto la natura, Dio, il caso, ma quel che ne deriva è che le donne siano più evolute.

Ma che invidia quando al mattino vedo lui, il padre dei miei figli, prendere la porta di casa, darmi un bel bacio, salutare i bambini e dire “ci vediamo stasera”. Chiusa quella porta, mi immagino il silenzio, la calma, la razionalità del mondo degli adulti. Un mondo sterile e crudele, finché vuoi, ma tanto più semplice per noi che l’infanzia l’abbiamo lasciata alle spalle da qualche decennio. E ogni volta penso…quanto vorrei, una mattina, una sola, prendere il suo posto e catapultarmi nella metropoli nevrotica e snervante, a caccia di un parcheggio e di una notizia e poi tornare, la sera, stanca, forse anche un po svuotata, e ritrovare il sorriso impagabilmente dolce dei bambini, la pelle morbida e profumata della piccola, le frasi buffe e i capricci del grande, e una bella cena pronta!

Ah che invidia, uomini, della vostra irresponsabilità! Che non è una colpa, ma uno stato di fatto, e difficilmente cambierà. Perché se nemmeno una super attrice, indossatrice e star come la Parker ha trovato la quadratura del cerchio tra madre e donna in carriera, figuriamoci noi donne qualunque… Basta saperlo e andare avanti lo stesso. Sicure della nostra superiorità, certe che faremo il doppio se non il quadruplo della fatica, rassegnate (se non crediamo nell’aldilà) che non saremo ripagate da nessun regno dei cieli, ma sicure che la vita è una e vale la pena giocarsela al meglio.

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Un mese dopo…

E’ passato un mese dall’ultimo post. I bimbi hanno fatto 3 settimane di mare e sono cresciuti in larghezza e saggezza. A., che d’ora in avanti chiameremo Abelardo (nomignolo che ho scelto di dargli quando fa i capricci.. una sorta di alter ego alla Doctor Jekyll and Mr Hyde), matura assieme alle parole che emette con sempre maggiore frequenza, precisione, fantasia e originalità. Ieri, per esempio, mi ha guardato negli occhi appena sveglio dopo il pisolino e mi ha detto “Sono stufo”. Ohibò, ho pensato, chissà dove l’ha sentito. Ma dalla faccia, oltre ad averlo sentito, pareva anche aver perfettamente compreso il significato di quell’espressione. La piccola si allarga e si allunga a vista d’occhio. E quello che è più incredibile, per una mamma che era stata abituata a allattare ogni tre ore per cinque mesi il primogenito (sì, parlo di Abelardo…, che neppure di notte saltava mai un giro di tetta..), la mia dolcissima piccola bambina dorme già anche 7 ore di fila. Ma soprattutto, anche quando si sveglia per mangiare, non strilla mai. Semmai si guarda intorno con quegli occhioni grigio azzurri che ha scelto di ereditare dal suo nonno e dal suo bisnonno…sempre che non si tramutino in marrone chiaro. Come confida teneramente la sorellona (che così siamo tutti uguali in famiglia, dice..) Chissà quali paure e speranze ingenerano in sorelle e madri gli occhi azzurri..Sarà che bionda con gli occhi azzurri è la Barbie?

Intanto le nostre lunghe vacanze proseguono in campagna, dove A. (dopo i bagni al mare e i giochi sulla sabbia) sta imparando l’arte dei lavoretti. Spazza per terra con la sua piccola scopa appositamente comprata dalla nonna, che nei momenti di gioco si tramuta in un cavallo da cavalcare; raccoglie frutta e verdura dalle piante e dall’orto; mangia le pere cascate in terra con la buccia, con sopra ancora un po di polvere della campagna. Impara a distinguere dal profumo la mentuccia dal rosmarino; si lava i dentini con la salvia. Aiuta la nonna a selezionare chiodi, viti e ammennicoli vari e li ripone nelle scatoline. Bagna i fiori e le piante di frutta. Mangia tutte le delizie che la nonna bis gli prepara..

E io? Il metodo easy (eat, activity, sleep and you) che tutte le mie amiche mamme conoscono, prevede che nella giornata di mamma di un neonato ci sia anche un piccolo spazio per noi stesse..Beh, non esageriamo: una volta al giorno è un po tanto!!! Però devo confessare che il long massage alle terme di Saturnia che mi è stato regalato nel primo weekend di luglio porta ancora i suoi benefici…e pure stare qui a scriverlo, mentre la piccola dorme e A. è in giro con la nonna a fare la spesa, dà una certa qual soddisfazione…

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Dilemma: chi far piangere?


Quando nasce un secondo figlio, il dilemma più difficile da risolvere è chi lasciar piangere quando i pianti sono in stereo… La risposta, per le mamme che non si sono fermate al primo giro, credo sia scontata: lasci piangere quello piccolo.
L’altra sera, però, mi è capitato il contrario. La baby sitter era andata a casa, stavo allattando la piccola e A. ha cominciato a chiamare dal lettino con una voce triste e lacrimosa. “Mamma Mamma Mamma”. Io non potevo alzarmi. Ho stretto le mascelle e mi sono augurata che fosse breve e indolore. Così è stato. Al richiamo, non è seguito nessun pianto. A. si è addormentato da solo. Come sempre. Se non che la mattina dopo, e sono sicura che fosse arrabbiato proprio per questa mancata risposta, si è svegliato alle 6 cattivo come il bau

Dovete sapere, per me è ancora una novità che A. chiami mamma. Un richiamo cui non si può non rispondere, a costo di sentirsi un mostro di crudeltà. Fino a qualche mese fa, dal lettino, giungevano solo urla pianti o versi. Poi, con la conquista della parola, ha cominciato a chiamarmi. E vi garantisco, tra un urlo del vostro bambino e il vostro bambino che sillaba mamma, c’è un abisso comunicativo e di emozioni.

Per questo, tornando al dilemma, tra il piccolo e il grande io mi sono sempre detta “lascerò piangere la piccola”. Neppure l’urlo più acuto di un neonato commuove e convince quanto un “mamma” sussurrato tristemente. Ma se non puoi, se non ce la fai?
Semplice: chiudi gli occhi e speri che passi in fretta.

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